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I governi che si sono succeduti negli ultimi quindici anni, hanno eroso e in qualche caso fatto scempio, di molti dei diritti che i lavoratori si erano conquistati in anni di lotte sindacali. Tra questi, l'abrogazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori e l'introduzione del jobs act, provvedimenti fortemente voluti da Renzi, hanno segnato un vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo.
Ma anche l'attuale governo non è stato a guardare, liberalizzando i contratti a tempo determinato e consentendo i subappalti a cascata con conseguenze nefaste in capo alle garanzie e alla sicurezza dei lavoratori. I referendum dell'otto e nove giugno pertanto, sono una formidabile opportunità affinchè il cittadino possa esprimere la propria scelta direttamente senza delegare nessuno.
Oltre al fatto, che andare a votare per un referendum diventa un'occasione per mettere in pratica la democrazia dal basso, cioè quella partecipazione attiva alle scelte che ci riguardano direttamente. Invece, come sempre più spesso accade nel nostro Paese, il dibattito pubblico anziché occuparsi di contenuti e di merito, in maniera tale che il cittadino possa scegliere con maggiore consapevolezza, si è diviso tra i fautori dell'astensione e gli altri.
Da un lato il governo e le forze politiche che lo sostengono, compresa una Cisl che da tempo oramai sembra avere abdicato al proprio ruolo, che inducono gli elettori a disertare le urne per far fallire il referendum, e dall'altro le opposizioni, che pur con posizioni non univoche sui contenuti dei cinque referendum, unitamente a Cgil e Uil invogliano ad andare a votare e a votare Si.
Ora, se una certa apatia è comprensibile da parte di quei cittadini sempre più stanchi di una politica politicante, risulta imprescrutabile l'ottusità di quei lavoratori, del privato e non, che, a prescindere dallo loro collocazione politica, dall'esito positivo di questi referendum ne trarrebbero solo dei vantaggi.
Anche per queste ragioni andrò a votare convintamente e invito anche chi mi legge a farlo.
Giovanni Lunardo
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Riceviamo e pubblichiamo la lettera-denuncia di un imprenditore di Agira abbandonato da chi prometteva sostegno. Ha chiesto di rimanere anonimo e noi rispettiamo il suo volere.
Una storia vera, un atto di coraggio dimenticato
Non sempre chi denuncia la mafia viene accolto da applausi e sostegno. A volte, la verità viene inghiottita dal silenzio e dall’indifferenza. Questa è la storia di un imprenditore di Agira che ha avuto il coraggio di rompere quel silenzio, ma si è trovato ad affrontare un secondo nemico: l’abbandono. Quest’uomo è stato vittima della mafia. Le minacce, le pressioni, le estorsioni non sono state per lui solo notizie da leggere sui giornali, ma ferite vere, lasciate sulla pelle e nell’anima. Ha avuto la forza di fare ciò che molti temono: *ha denunciato*. E le sue parole hanno avuto un peso. Grazie anche al suo contributo, *alcuni mafiosi sono finiti in carcere*.
Ma oggi quei mafiosi sono di nuovo fuori. E mentre la paura torna a bussare alla porta, *l’uomo che ha denunciato non può neanche raccontare ciò che ha vissuto*. Per anni non ha potuto parlare apertamente della sua storia, costretto a un silenzio che lo ha isolato. Attorno a lui, invece di solidarietà, *si è creata una cattiva fama*, basata sul nulla, sull’ignoranza o sulla paura. In cerca di supporto, si è rivolto a un’associazione antiracket che avrebbe dovuto proteggerlo e accompagnarlo. L’associazione, invece, *ha lasciato che si sentisse solo*. Eppure, pubblicamente, si attribuisce il merito di averlo aiutato, di essergli stata accanto, di aver fatto la propria parte.
*Ma la realtà è diversa.* Quell’aiuto concreto, umano, istituzionale, *non è mai arrivato*. L’uomo ha continuato a lottare da solo, tra burocrazia, sospetti e paure. Quelle stesse paure che, una volta affrontate a viso aperto, avrebbero dovuto trovare risposte nelle istituzioni e nel tessuto civile. E invece ha trovato porte chiuse, sguardi evitati, e un’associazione più preoccupata della propria immagine che della vita reale delle persone che dice di difendere. È facile sfilare in prima fila nelle commemorazioni, è facile parlare di legalità davanti alle telecamere. Più difficile è esserci davvero, *quando la luce si spegne e la vittima resta sola con la sua storia*.
La mafia si combatte anche con la verità. E la verità, in questo caso, è che *non basta dire “ci siamo” se poi, nei momenti cruciali, non si tende una mano.* Questa storia è il racconto di un fallimento collettivo. Di un sistema che ancora troppo spesso lascia soli i giusti. E di chi ha avuto il coraggio di denunciare, senza ricevere il rispetto che merita. Solo dopo l’estenuante lotta solitaria l’imprenditore agirino ha richiesto di poter accedere a un fondo di solidarietà e spera ancora nella presa di coscienza e nell’approvazione della richiesta, oltre la rinascita personale.
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Riceviamo e Pubblichiamo una nota del Gruppo Arena.
In riferimento alle notizie diffuse in queste ore relative a presunti episodi di sfruttamento del lavoro presso un punto vendita della grande distribuzione a Biancavilla (CT), il Gruppo Arena intende precisare quanto segue:
Il punto vendita oggetto delle indagini non è gestito direttamente dal Gruppo Arena, bensì da un operatore commerciale affiliato che opera in autonomia giuridica e gestionale. Il modello di affiliazione commerciale, adottato su scala nazionale da molte insegne della GDO, prevede che l’affiliato mantenga la piena responsabilità in materia di gestione del personale, contratti di lavoro e adempimenti retributivi e previdenziali.
Il Gruppo Arena, da sempre impegnato a promuovere etica, legalità e rispetto delle normative vigenti, si dichiara totalmente estraneo ai fatti contestati e condanna fermamente ogni forma di sfruttamento del lavoro, esprimendo solidarietà ai lavoratori coinvolti.
In ogni caso, il Gruppo Arena, sta valutando l’opportunità di intraprendere ogni iniziativa utile a tutela della propria immagine e del proprio operato, improntato, da sempre, al rigoroso rispetto di tutte le normative vigenti in tema di tutela e salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
Rinnoviamo piena fiducia nell’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, auspicando che venga fatta al più presto chiarezza sulla vicenda.
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Avevamo promesso che avremmo rifatto la Democrazia Cristiana e ci siamo riusciti. Adesso, tocca a tutti noi coltivarla e custodirla. È un patrimonio storico, culturale, sociale e politico della nostra Terra, tocca a chi ci crede salvaguardarla. La nostra non vuole essere un’operazione malinconica, ma la volontà di dare agli elettori la possibilità di tornare a scegliere un’idea nella scheda elettorale.
Lo spirito che ci muove è quello di sollecitare tutti ad acquisire o rafforzare la responsabilità civile che abbiamo nei confronti della nostra Terra, invogliarli a guardare con animo speranzoso al futuro. Di fronte alle tante sacche di povertà, alle numerose fragilità sociali, al precariato giovanile e femminile, alle numerose famiglie costrette a stenti e sacrifici di ogni sorta e alle condizioni di disagio, non possiamo rimanere insensibili e inerti né disperderci in tentativi solitari. La politica ha bisogno di un abbraccio di speranza per risvegliare un sussulto civico e ricominciare, non arrendersi, riacquistare la speranza di sperare. Noi siamo la Democrazia Cristiana.
In un tempo dove la politica assume un atteggiamento sovranista e populista e appare un’anomalia essere moderati, la DC urla il suo essere democratica e popolare.
Siamo democristiani perché amiamo le persone nella loro naturale tensione verso il destino infinito per cui sono fatte. Siamo democristiani perché riconosciamo nella libertà generativa di questa tensione e nella relazione vitale che ne scaturisce tra persone, famiglia e comunità sociale, l’argine invalicabile per qualsiasi forma di potere.
Siamo democristiani perché crediamo nella fraternità tra i popoli e nell’amicizia sociale tra quanti ne hanno a cuore le sorti, orizzonti irrinunciabili di ogni azione politica che intenda fare proprio il “sogno” che ha animato l’azione dei Padri costituenti e dell’Europa Unita. Siamo democristiani perché crediamo nel ruolo delle Istituzioni pubbliche chiamate a sostenere e promuovere cittadini, corpi intermedi e imprese attraverso i linguaggi inscindibili della sussidiarietà e della solidarietà.
Siamo democristiani perché crediamo che concorrere ad avviare i percorsi di autentico cambiamento – dei quali tutti riconosciamo la necessità -, valga molto di più che gestire effimeri spazi di potere.
Siamo democristiani perché crediamo al primato della parola e del dialogo rispetto a quello del conflitto ideologico.
Siamo democristiani perché crediamo al valore dell’unità rispetto all’affermazione dell’interesse egoistico di una sola parte.
Siamo democristiani perché crediamo alla funzione di una giustizia in grado di contrastare efficacemente qualsiasi inammissibile condizionamento mafioso e criminale della libertà personale, sociale, economica e politica, garantendo, al contempo, il necessario sostegno per le vittime e i loro familiari, insieme al percorso rieducativo e al riscatto sociale di quanti hanno commesso degli errori e ne hanno pagato le conseguenze.
Siamo democristiani perché non abbiamo alcuna nostalgia di un passato che non torna e non potrà mai tornare – nelle sue forme e nelle sue stagioni – e nutriamo la consapevolezza dell’assoluta modernità di un patrimonio ideale in grado di proiettarci, senza paura e con creativa responsabilità, nell’impegno a servizio del bene comune, in un tempo carico di contraddizioni e di sfide.
Siamo democristiani perché vogliamo amare e servire la nostra Terra fino al sacrificio; questa Terra dove è nato prima il PPI di Sturzo e poi la DC.
Siamo democristiani perché pensiamo che la politica debba essere la più alta forma di servizio per gli altri e perché non possiamo e non vogliamo rassegnarci a credere che non può tornare a esserci la politica, quella buona. La DC crede che si possa realizzare questo sogno di democrazia e di libertà.
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Si è appena conclusa una lunga e snervante campagna elettorale, culminata con la elezione a presidente della provincia, del Sindaco di Calascibetta, Piero Capizzi. Preferisco non immischiarmi nella diatriba tra presunti traditori e quindi presunti traditi. Dico solo che il centrosinistra aveva programmato questa tornata elettorale bene e da tempo, mentre il centrodestra, come al solito, ha partorito il candidato il giorno prima, o quasi, del termine ultimo della presentazione delle liste.
Avrà influito anche questo aspetto sull'esito della tornata elettorale? Io preferisco invece, soffermarmi sul tipo di elezioni, che, dopo tantissimi anni, ha ridato un governo politico all'ente provincia. Le elezioni di secondo livello, per me una grande porcata, hanno chiamato a votare sindaci e consiglieri. Una legge senza né capo né coda.
Iniziamo dal fatto che i sindaci con un mandato inferiore ai 18 mesi, non si potevano candidare, ed ecco che nel centrodestra il cerchio si è ristretto notevolmente, unica attenuante alla disfatta dei partiti che governano sia a livello nazionale che regionale. Inoltre i voti dei consiglieri con un valore superiore, rispetto ad altri consiglieri, in base alla provenienza degli stessi.
Enna da un valore, Sperlinga un altro, Villarosa un altro ancora ed udite udite, per ovvi motivi, in base alla legge vigente, Regalbuto, per fare un esempio, insieme ad altri 4 comuni, da un potere al voto superiore a tutti gli altri. Consiglieri di serie B e anche di serie C....una specie di manicomio a dire il vero. E la volontà del cittadino? Il popolo che dovrebbe essere sovrano? Messo da parte in maniera vergognosa da una legge, la Delirio, che nessuno ha interesse a togliere.
I parlamentari li scelgono a Roma, le cariche provinciali, con questa legge in vigore, le scelgono le segreterie provinciali dei partiti. Manca solo che non ci permettano di eleggere i nostri rappresentanti comunali e la dittatura elettorale è servita a 360°. Poi ci si chiede perché la gente è schifata dalla politica....mah!!
Mi auguro che presto si torni alle elezioni dirette dei nostri rappresentanti, con una legge elettorale, che avrebbe anche evitato tutte queste polemiche post elettorali.... quasi il 30% di voto disgiunto, mai accaduto prima. Concludo facendo un grosso in bocca al lupo al mio amico, per la sua elezione, Piero Capizzi, persona valida e navigata, e colgo l'occasione per invitare i miei comprovinciali ad attenzionare, per le prossime tornate elettorali, più i programmi e le persone che li dovrebbero rappresentare, anziché lasciarsi abbindolare da simboli, possibilmente roboanti a livello nazionale, ma che nella nostra realtà sono solo dei contenitori vuoti di contenuti e spessore politico umano.
Gaetano Di Maggio ex assessore provinciale
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