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Con la Legge 9 novembre 2021, n. 156 (di conversione del decreto-legge “Infrastrutture”, approvata giovedì 4 novembre in Senato (190 voti favorevoli, 34 contrari e nessun astenuto) e pubblicata in Gazzetta Ufficiale 9 novembre 2021, n. 267, sono stati modificati 40 articoli del Codice della Strada.
Il nuovo Decreto Infrastrutture include un sostanzioso aggiornamento del codice della strada, che è entrato in vigore il 10 novembre.
Diverse novità: la prima è che al volante, oltre allo smartphone, sarà vietato usare pure gli altri dispositivi elettronici, come tablet e simili; inoltre i pedoni e disabili vengono maggiormente protetti, novità anche per i neopatentati e sanzioni più pesanti per alcune infrazioni.
Riguardo i dispositivi vietati alla guida, oltre ai cellulari sono adesso espressamente menzionati smartphone, computer portatili, notebook, tablet e congegni analoghi che comportino anche solo temporaneamente l'allontanamento delle mani dal volante. Alla eventuale violazione si affianca una multa.
Circa i monopattini il casco continua a non essere obbligatorio, ma sarà tuttavia obbligatorio l'uso delle frecce nonchè l'assicurazione per i monopattini a noleggio, e dovranno circolare a non oltre i 20 km/h (non più a 25). Confermato il divieto di marcia contromano. Da mezz’ora dopo il tramonto, qualora situazioni di visibilità lo richiedano, le luci dei monopattini devono essere accese e il conducente deve indossare il giubbotto o le bretelle retroriflettenti. L’ inosservanza di una di queste disposizioni prevede una multa di 50 euro. Confermata anche la norma che vieta al conducente di trasportare altre persone, oggetti o animali, farsi trainare da un altro veicolo, di avere libero l’uso delle braccia e delle mani e di reggere il manubrio sempre con entrambe le mani, salvo che non sia necessario segnalare la manovra di svolta sui mezzi privi indicatori di direzione. La violazione di una di queste disposizioni prevede una multa di 50 euro.
Istituiti i “parcheggi rosa”, destinati alle donne in stato di gravidanza e genitori con figli fino a due anni, dietro l’esibizione del rispettivo contrassegno; multe salate anche per chi occupa illegittimamente i detti parcheggi.
Dovrà prestarsi più attenzione ai pedoni sulle strade prive di semafori. "I conducenti devono dare la precedenza, rallentando gradualmente e fermandosi, ai pedoni che transitano sugli attraversamenti pedonali o si trovino nelle loro immediate prossimità. I conducenti che svoltano per inoltrarsi in un'altra strada al cui ingresso si trova un attraversamento pedonale devono dare la precedenza, rallentando gradualmente e fermandosi, ai pedoni che transitano sull'attraversamento medesimo o si trovino nelle sue immediate prossimità, quando ad essi non sia vietato il passaggio".
Cambiamenti anche per il foglio rosa la cui durata passa da 6 a 12 mesi. Inoltre, le nuove norme prevedono la possibilità per i neopatentati di guidare auto di grande cilindrata (oltre 55 kW/t e massima 70 kW), al primo anno, ma solo in presenza di un patentato esperto con la licenza da almeno 10 anni ma entro i 65 anni di età.
Inoltre dal 1° gennaio 2022 la sosta nei parcheggi contrassegnati dalle strisce blu saranno gratuiti per le persone con disabilità, se i posti a loro riservati sono esauriti. E per chi parcheggia in aree di sosta riservate al trasporto dei disabili è previsto un raddoppio delle multe fino a un massimo di 672 euro e i punti decurtati passano da 2 a 6. Novità anche per chi guida senza patente: resta ferma la multa di 42 euro, scontata del 30% se la si paga entro 5 giorni, ma non vi è più l’obbligo di presentarsi fisicamente presso le Forze dell’ordine per l’esibizione della patente.
Avv. Donatella Rampello
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Per prodotto difettoso si intende quel prodotto che non offre la sicurezza che si può attendere.
In sostanza, un prodotto difettoso è un prodotto non sicuro. Se un prodotto causa danni, questi sono risarcibili dal produttore anche se il soggetto danneggiato non è l'acquirente del prodotto in questione.
Nel caso di danno causato da un difetto del prodotto, il Codice del Consumo ( D.lgs. 206/2005) stabilisce il principio di responsabilità assoluta del produttore, indipendentemente dalla colpa.
Nel caso in cui non si individui il produttore, il responsabile sarà il fornitore che ha distribuito il prodotto.
Al fine di valutare se l’aspettativa di sicurezza è soddisfatta o meno (e quindi se il prodotto è intrinsecamente difettoso oppure no), secondo il Codice del Consumo si deve però tener conto di tre circostanze: il grado di accuratezza delle informazioni, il grado di accuratezza della progettazione e il difetto di fabbricazione.
Per ciò che riguarda il grado di accuratezza delle informazioni fornite dal produttore si deve far riferimento alle modalità con cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione caratteristiche evidenti ed istruzioni e avvertenze fornite.
Circa il grado di accuratezza della progettazione che sta alla base del prodotto bisogna considerare “l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere”.
Da ultimo, in caso di produzione seriale, occorre tener presente che il difetto può essere un difetto di fabbricazione che colpisce solo un prodotto all’interno di un lotto determinato: in tal caso, il “prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie”.
E’ importante notare che la responsabilità da prodotto difettoso è una forma di responsabilità extracontrattuale: ciò significa che il produttore è responsabile – e dovrà quindi risarcire il danno – anche se il soggetto danneggiato non è l’acquirente del prodotto, ma è un soggetto terzo.
Il prodotto difettoso può cagionare tre tipi di danno: danno di morte o lesioni personali, danno o distruzione di una cosa diversa dal prodotto difettoso, danno al prodotto stesso causato dal difetto di una o più parti.
Il produttore può essere esentato da responsabilità se riesce a provare: di non aver messo in circolazione il prodotto; che il difetto non esisteva al momento della distribuzione; di non aver realizzato il prodotto per fini di vendita; che il difetto è dovuto all’osservanza di norme imperative; che le conoscenza scientifiche e tecniche del prodotto del periodo in cui il prodotto è stato messo in circolazione non consentivano di scoprire l’esistenza del difetto.
Il consumatore che ha subito un danno può agire in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno.
È nullo qualunque patto che escluda o limiti la responsabilità del produttore.
Naturalmente, un’ipotesi di esclusione del risarcimento dipende dalla consapevolezza del consumatore circa il difetto del prodotto.
Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da prodotto difettoso è di tre anni dalla conoscenza del difetto e dell'identità del soggetto responsabile.
In ogni caso, il diritto si estingue dopo dieci anni dal giorno in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Per impedire tale decadenza, occorre proporre la relativa domanda giudiziale entro tale termine.
Avv. Donatella Rampello
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Nel nostro ordinamento l’appalto è disciplinato dall’art. 1665 c.c. e viene definito come “il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Dalla definizione emerge che l’appalto è un contratto bilaterale, consensuale e a titolo oneroso, con il quale una parte chiamata appaltatore, si impegna nei confronti di un’altra parte denominata appaltante o committente.
L'appalto è utilizzato quando un soggetto non può o non vuole compiere in prima persona il lavoro relativo ad un'opera o ad un servizio.
Per svolgere il lavoro, quindi, si rivolge ad un imprenditore che con la sua organizzazione s'incaricherà di compiere completamente l'opera dietro corrispettivo.
Oggetto dell’appalto può essere sia il compimento di un’opera sia il compimento di un servizio.
È un contratto a forma libera. Può pertanto essere concluso anche oralmente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali con riferimento alla costruzione di navi o aeromobili.
Il contratto di appalto si perfeziona con il pagamento di un corrispettivo in danaro da parte del committente.
L’obbligazione fondamentale dell’appaltatore è quella di compiere l’opera o il servizio che è stato ordinato dal committente, egli deve fornire anche la materia prima necessaria al compimento dell’opera.
Al fine di esimersi da responsabilità per vizi e difformità dell’opera dovuti a difetto di materiali, l’appaltatore, se la materia è fornita in tutto oppure in parte dal committente, deve denunciare subito i difetti che possono compromettere la regolare esecuzione dell’opera e la stessa deve essere eseguita dall’appaltatore secondo le modalità tecniche concordate con il committente, di solito descritti in un apposito documento che prende il nome di “capitolato”.
L’opera deve avvenire a regola d’arte.
Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato, di persona oppure a mezzo di un direttore dei lavori nominato dallo stesso committente.
Obbligazione fondamentale del committente è il pagamento del corrispettivo in denaro.
Il corrispettivo che spetta all'appaltatore è determinato generalmente dalle parti, che ne individuano la misura o che stabiliscono con quale modo individuarla.
Se, tuttavia, non vi provvedono, esso viene calcolato o facendo riferimento alle tariffe esistenti o agli usi o, in mancanza, con provvedimento del giudice.
Trattandosi di un’obbligazione di risultato, deve realizzare l’opera o il servizio deve, cioè procurare il risultato concordato con il committente.
Può accadere, però, che la prestazione sia divenuta impossibile per cause non imputabili all'appaltatore. In questo caso e se l'impossibilità non è imputabile neanche al committente, egli avrà comunque diritto a un compenso per l'opera che ha già svolto, anche solo nella misura in cui l'opera stessa sia utile al committente.
Avv. Donatella Rampello
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La separazione consensuale è l’istituto giuridico mediante il quale marito e moglie, concordemente, decidono di separarsi.
Non è pertanto possibile procedere con la separazione consensuale qualora i coniugi non siano d’accordo riguardo il patrimonio, il diritto di visita e mantenimento della prole, l’assegnazione della casa coniugale.
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 162/2014, l’unico modo per procedere alla separazione consensuale era quella di depositare un ricorso in Tribunale al fine di ottenere l’omologazione dell’accordo; attualmente invece, con la citata legge, sono state introdotte due nuove forme per la separazione consensuale: la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato e le dichiarazioni dei coniugi al sindaco.
Oggi sono, pertanto, tre gli strumenti per poter procedere alla separazione consensuale.
Riguardo l’omologazione dell’accordo da parte del Tribunale la domanda si propone con ricorso ed entro cinque giorni il Presidente del Tribunale fissa con decreto il giorno della data di comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione.
I coniugi sono obbligati a comparire personalmente davanti al Presidente.
Non è necessaria l’assistenza di un difensore.
All’udienza di comparizione i coniugi saranno sentiti separatamente e congiuntamente dal
Presidente del Tribunale per tentare la conciliazione. Se quest’ultima riesce si redige il verbale di conciliazione, se non riesce viene verbalizzata la volontà dei coniugi di separarsi e le condizioni relative ai coniugi e alla prole.
Conclusasi la fase dinnanzi al Presidente, il tribunale decide in merito all’omologazione e, ottenuto il parere del P.M., se ritiene le condizioni concordate dai coniugi legittime e conformi all’interesse dei figli, emette il decreto di omologazione, che ha efficacia di titolo esecutivo e viene annotato in calce all’atto di matrimonio dall’ufficiale di stato civile.
Il secondo strumento per separarsi consensualmente dal coniuge è la negoziazione assistita.
Non è altro che un accordo che si raggiunge all'esito di una procedura di conciliazione realizzata dalle parti dalle parti, con l'assistenza di due avvocati e con l'impegno di cooperare in buona fede con lealtà per risolvere amichevolmente i loro rapporti.
L’accordo viene trasmesso, a cura degli avvocati, allo stato civile del Comune.
È possibile ricorrere alla negoziazione assistita anche se i coniugi hanno figli minori di età oppure con una disabilità che non li renda autosufficienti; in questo caso però l’accordo di separazione deve essere confermato dal tribunale, che verifica che vengano salvaguardati gli interessi dei bambini o ragazzi.
Infine, il terzo strumento per potersi separare è rappresentato dalla dichiarazione dei coniugi al Sindaco.
Questa separazione avviene davanti all’ufficiale di stato civile del Comune di residenza. Vi è un primo incontro in cui viene redatto l’accordo di separazione e un secondo incontro in cui esso viene confermato. Tra i due incontri trascorrono circa 30 giorni, per il caso che la coppia abbia un ripensamento.
Va precisato che non è possibile utilizzare il citato strumento in presenza di figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti economicamente, incapaci di intendere e di volere o portatori di handicap.
Avv. Donatella Rampello
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La vendita con patto di riscatto dà al venditore il diritto di riacquistare la proprietà della cosa venduta (bene mobile o immobile) restituendo il prezzo e le spese al compratore secondo quanto previsto dagli artt. 1500 e seguenti del codice civile.
Non è altro che una particolare figura giuridica che si contrappone totalmente alla funzione tipica della compravendita ordinaria.
Quest’ultima, infatti, è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Pertanto, il venditore perde definitivamente la proprietà del bene che passa in capo all’acquirente.
Nella ipotesi di vendita con patto di riscatto, invece, il venditore ha la possibilità di riottenere ( riscattare) dall’acquirente il bene venduto, restituendo il prezzo e gli eventuali rimborsi stabiliti, ai sensi dell’art. 1502 c.c.
Nello specifico l’art. 1500 c.c., afferma che: “Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono. Il patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l’eccedenza”.
La vendita con diritto di riscatto è spesso esercitata dal venditore quando questi si trova in una condizione economica precaria e decide di alienare il bene per reperire una quantità di denaro sufficiente a sopperire alle proprie esigenze temporanee. Questo istituto perciò presuppone che il venditore si trovi in una situazione di difficoltà economica temporanea. Per questo motivo è data la possibilità al soggetto in questione di apporre una condizione di questo tipo al fine di poter riacquistare il bene, alienato per motivi di urgenza, che altrimenti non sarebbe mai uscito dal patrimonio del venditore.
Al comma 2 dell’art. 1500 è disciplinata una tutela per il venditore, il quale non dovrà versare un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita; è stabilito un divieto in capo all’acquirente di approfittarsi del momento di difficoltà economica dell’alienante, per poter trarre un guadagno maggiore di quello pattuito. In questo caso il sovrapprezzo richiesto risulterà nullo e non dovuto dal venditore stesso.
Il termine entro cui il venditore può riscattare la proprietà del bene alienato (art. 1501) è di due anni per i beni mobili e cinque anni per quelli immobili. Il venditore che esercita il diritto di riscatto ha l'onere di rimborsare al compratore il prezzo, le spese e ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, oltre ai costi per le riparazioni necessarie e a quelli che hanno aumentato il valore della cosa riscattata, ma nei limiti dell'aumento.
Se l’acquirente aliena a sua volta il bene del venditore, l’alienante può usufruire del diritto di riscatto purché tale clausola sia opponibile ai terzi. La vendita con patto di riscatto può risultare nulla o viziata ad esempio qualora il compratore chieda all’alienante un prezzo maggiore rispetto a quello pattuito e dovuto per il riscatto della proprietà, questo “sovrapprezzo” risulta nullo e dovuto. In ogni caso si configura nullità generale della vendita con patto di riscatto quando il fine del contratto è quello di garantire un credito. In sostanza il versamento del prezzo non deve rappresentare l’adempimento di un mutuo ed il trasferimento del bene non deve essere qualificato di conseguenza come una garanzia transitoria del contratto.
Avv. Donatella Rampello
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