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- Categoria: No alla Violenza
Un settore in cui frequentemente si realizzano le truffe contrattuali è quello dei messaggi pubblicitari.
Il problema si pone, in realtà, quando sono proposti al consumatore dei prodotti che, ad acquisto avvenuto, non sono corrispondenti alle caratteristiche promesse o che, rispetto alla qualità pubblicizzate, hanno una qualità notevolmente inferiore.
Per poter parlare di truffa in questi casi occorre che il soggetto agente induca in errore una persona determinata.
Nel caso di comunicazioni pubblicitarie menzognere si parla di truffa in incertam personam poiché la fase delle trattative è preceduta da offerte o inviti all’acquisto indirizzati verso una generalità di individui e il dolo consiste nell’attribuire al bene o servizio offerto specifiche qualità che non corrispondono a verità.
In questi casi, ossia quando il venditore è consapevole del raggiro, il contratto è annullabile.
È da tenere presente che con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 74/1992 la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, vietandosi la pubblicità ingannevole.
L’art. 2, lett.b del suddetto decreto definisce ingannevole qualunque tipo di pubblicità “che in qualunque modo, comèpresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente“.
Diritto fondamentale dei consumatori e degli utenti è, pertanto, quello ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, come previsto dall’art. 1, comma 2, lett. c., della legge n. 281/1998.
Successivamente nel 2007, a seguito dell’entrata in vigore dei D. Lgs. n. 145 e n. 146, è stato attivato un doppio binario di protezione: uno a tutela del consumatore nei rapporti tra consumatori ed imprese in relazione a pratiche commerciali scorrette; l’altro a tutela delle imprese nei loro reciproci rapporti commerciali in riferimento a comportamenti caratterizzati da pubblicità ingannevole e comparativa illecita.
Le norme sulle pratiche commerciali scorrette sono poste a presidio dei rapporti tra professionisti e consumatori, al fine di ampliare la tutela di questi ultimi sulla base del divieto generale di pratiche commerciali sleali che si verificano all’esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra consumatore e professionista o in seguito alla conclusione di un contratto e durante l’esecuzione dello stesso.
Carmela Mazza
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Un’ipotesi particolare di truffa contrattuale è “la vendita di cose altrui” con effetti obbligatori, ossia l’ipotesi del falso venditore che ha carpito la buona fede dell’acquirente ponendo in essere un contratto fraudolento.
Dalla vendita obbligatoria discende l’obbligo per il venditore di far acquistare il bene al compratore e, pertanto, dobbiamo distinguere l’ipotesi in cui l’acquirente era a conoscenza che la cosa acquistata apparteneva ad altri, dall’ipotesi in cui lo stesso non lo era.
La vendita obbligatoria è validamente perfezionata se nel contratto le parti hanno espressamente dichiarato che l’oggetto venduto appartiene ad un terzo o se l’acquirente, quando ha prestato il consenso all’acquisto, era a conoscenza di tale circostanza.
In tal caso, secondo un primo orientamento, se il venditore non fa conseguire la proprietà al compratore, potrebbe trovare applicazione l’istituto della promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.), con la conseguenza che il venditore sarebbe esposto a responsabilità a prescindere da sua colpa; secondo un altro orientamento, invece, l’obbligo risarcitorio sarebbe, in ogni caso, subordinato alla possibilità di ravvisare una colpa del venditore.
Se, al contrario, il compratore ignorava che il bene fosse di altri, trova applicazione l’art. 1479 c.c. rubricato “buona fede del compratore” e secondo il quale, in tal caso, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, a meno che il venditore non gli abbia fatto acquisire la proprietà della cosa, la restituzione del prezzo pagato ed il rimborso delle spese sostenute per il contratto, salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno patito.
La disciplina relativa alla vendita di cosa altrui si applica anche al contratto preliminare di vendita di cosa altrui. Tuttavia non è possibile ottenerne l’immediata risoluzione in quanto l’altruità del bene non esclude, entro la scadenza del termine fissato per la stipula del definitivo, l’adempimento da parte del promittente venditore.
In caso di vendita di cosa parzialmente di altri (art. 1480 c.c.) il compratore, che non conosceva tale circostanza, può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno se non avrebbe acquistato il bene senza la parte di cui non è divenuto proprietario. In caso contrario può chiedere solo una riduzione del prezzo ed il risarcimento del danno.
Alla luce di tutto ciò, se il venditore cede ad altri, come propria, una cosa non sua e ne ricava un profitto ingiusto carpendo la buona fede dell’acquirente, pone in essere un contratto fraudolento, rientrante nella truffa contrattuale che, come abbiamo visto in precedenza, si realizza quando, mediante artifici e raggiri posti in essere nel momento in cui si forma il negozio giuridico, l’agente trae in inganno il soggetto passivo inducendolo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato.
Avv.ta Carmela Mazza
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La truffa contrattuale e la truffa per l'assunzione ai danni dello Stato sono, due fattispecie di truffa, ideate dalla giurisprudenza prevalente, che si concretizzano nella "dematerializzazione" o "depatrimonializzazione" del danno, il quale consiste nella diminuzione della capacità del patrimonio di soddisfare i bisogni materiali o spirituali del suo titolare.
Le forme di danno riconosciute dal nostro ordinamento possono essere così classificate:
1) "danno emergente" e "lucro cessante"; 2) incremento delle passività; 3) diminuzione della funzione strumentale del patrimonio; 4) turbativa del godimento della cosa.
La prima ipotesi (truffa contrattuale) consiste nel conseguire una stipulazione di un contratto che il truffato, se non raggirato, non avrebbe stipulato o che avrebbe comunque stipulato, ma a condizioni differenti. La truffa sussiste indipendentemente dal fatto che la vittima abbia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornitagli, l'illecito si realizzerà per il solo fatto che si sia stipulato un contratto che, senza gli artifizi e raggiri posti in essere dall'agente, non sarebbe stato stipulato, quantomeno non a quelle condizioni.
Con riguardo a tale tipologia di truffa, la giurisprudenza ha affermato che l'ingiusto profitto e il danno altrui sussistono anche in assenza di una sproporzione tra le prestazioni dei contraenti.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18 del 21 giugno 2000, hanno affermato che la truffa contrattuale si consuma "nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato".
La truffa per assunzione ai danni dello Stato (seconda ipotesi) si configura, invece, qualora gli artifici o raggiri, mediante la produzione e presentazione di documenti falsificati, siano finalizzati all'assunzione da parte dello Stato nel pubblico impiego.
Le Sezioni Unite, con sentenza del 16 dicembre 1998 n. 1, hanno individuato: il momento consumativo di questa tipologia di truffa nell'assunzione del soggetto attivo; il profitto ingiusto nell'acquisizione di un ruolo retribuito e coperto di previdenza sociale da parte del reo; il danno altrui, infine, nelle spese che la Pubblica Amministrazione aveva sostenuto per l'assunzione e per l'impegno di spesa nel bilancio preventivo.
Mentre veniva esclusa dal novero del danno la retribuzione conseguita dal lavoratore, in quanto causalmente orientata a ripagare la prestazione lavorativa eseguita, seppur trattavasi di un lavoratore assunto in maniera truffaldina.
Carmela Mazza
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Un altro “annus horribilis” e un altro 25 novembre, giorno in cui si celebra e “non si festeggia” la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in cui i numeri della violenza sulle donne e i femminicidi non diminuiscono.
Ad oggi contiamo 96 donne uccise dall’inizio dell’anno, 9 donne al mese, 2-3 donne a settimana, per mano di uomo, magari di quell’uomo che ha detto di amarle.
Madri, sorelle, zie, nipoti, amiche che, solo per il fatto di essersi ribellate al patriarcato e all’idea della donna in balìa di un uomo, hanno cessato di vivere.
E questo solo quando si arriva alla forma più grave di violenza.
Ricordiamoci, però, che la violenza viene agita e subita in varie forme, a volte anche non percettibili o non visibili.
La violenza è un fenomeno, in primis, culturale ed è un fenomeno strutturalein continuo aumento.
È, anche, un fenomeno trasversale, in quanto colpisce tutte le categorie di persone, arrivando in ogni ambito ed infilandosi anche nelle pieghe della vita più intima.
Quando si parla di violenza se ne parla soprattutto al femminile, perché è quella più eclatante e, spesso, cruenta. Non bisogna dimenticare, però, che ogni rapporto deve essere basato sulla reciprocità e sul rispetto, altrimenti non è rapporto ma altro, possesso, ossessione, dipendenza.
Non va, tuttavia, sottovalutato il dilagare della violenza digitale. Il cyber bullismo affianca il bullismo, soprattutto nelle scuole, e spesso gli adulti non si rendono conto di ciò che i nostri ragazzi e le nostre ragazze vivono.
Spesso, noi adulti possiamo renderci corresponsabili del bullismo, sia col nostro comportamento violento o inadeguato suscitando atteggiamenti bulli nei nostri ragazzi e nelle nostre ragazze, sia con un comportamento negligente quando non ci accorgiamo di segnali di sofferenza/insofferenza in coloro che subiscono atti di bullismo.
Non possiamo più ridere delle "monellerie" dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, giustificando o minimizzando ogni cosa.
Solo qualche settimana fa, infatti una 13enne è stata uccisa dal fidanzatino 15enne (questi sono i numeri recenti) ed una 15enne della nostra provincia ha cessato di vivere.
Non ci si deve solo dichiarare contro ogni forma di violenza, ma anche promuovere la cultura della non violenza, della persona, del diritto e dei diritti, in ogni modo e in ogni luogo, a cominciare dall'uso del linguaggio.
Occorrono misure reali per il contrasto alla violenza di genere, centrati sulla libertà di scelta.
Occorre finanziare i Centri anti-violenza (CAV), presidi fondamentali nel garantire i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, e non sottrarre ad essi fondi come spesso viene fatto!
Fino a quando non si comprenderà che la VIOLENZA È UN FENOMENO CULTURALE, e che occorre che le donne siano indipendenti economicamente dai loro carnefici, continueremo a contare donne morte e figli orfani!
Carmela Mazza
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Il delitto di truffa si distingue:
- dal reato di furto, poiché la truffa consiste nel procurarsi un profitto attraverso il consenso del titolare viziato dall'inganno, mentre il furto consiste nell’impossessamento contro la volontà del proprietario;
- dal reato di furto aggravato per l’uso del mezzo fraudolento, perché in questo gli artifici ed i raggiri, posti in essere dal soggetto agente al fine di aggirare la volontà della vittima, costituiscono il mezzo per sottrargli il bene posseduto;
- dal reato di appropriazione indebita, perché nella truffa è presente un inganno per ottenere la consegna della cosa, diversamente nel reato di appropriazione indebita si fa propria illegittimamente la cosa della quale si ha il possesso senza alcun inganno del proprietario;
- dal reato di falso, perché, nonostante ci sia un’alterazione del vero, nella truffa non è presente una falsificazione documentale o strumentale;
Un ulteriore argomento di discrimine è rappresentato dal rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo.
Se nel furto, nella rapina e nell'appropriazione indebita, la condotta proviene integralmente dal soggetto attivo del reato, attraverso l'autonoma realizzazione dell'offesa alla vittima, diversamente, nel reato di truffa, così come nell'estorsione, si instaura un rapporto d'interazione tra il reo e la persona offesa.
La persona offesa, nel reato di truffa, diversamente dai reati prima citati, non si limita passivamente a subire l'offesa, ma anzi collabora col reo, costituendo col proprio consenso, atti di disposizione patrimoniale in danno a se stessa.
Inoltre, la truffa si differenzia dal reato di estorsione poiché, in quest’ultimo reato, il pericolo che si rappresenta è reale e non immaginato e dalla frode informatica, poiché in questo caso l’attività fraudolenta riguarda un sistema informatico e non una persona che venga indotta in errore.
Carmela Mazza
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