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Categoria: Riceviamo e Pubblichiamo
17 Ottobre 2024

Afghanistan: l'oppressione delle donne tra regime talebano e indifferenza internazionale

Dopo il precipitoso quanto vergognoso ritiro degli americani e degli alleati dall'Afghanistan il 15 agosto 2021, il paese è ricaduto sotto ildonne afghane.jpeg agosto 2021.2 controllo dei talebani, ripiombando nel più duro oscurantismo. I modesti progressi nei diritti delle donne, peraltro limitati a poche aree e non all’intero paese, sono stati cancellati. Le donne afghane sono nuovamente relegate a un ruolo domestico, privato della presenza pubblica e del diritto all'istruzione o al lavoro. Vittime di leggi sempre più oppressive, che le escludono perfino da luoghi di svago come il parco nazionale di Bamyan.

Il paese è in una profonda crisi economica e umanitaria, con quasi la metà della popolazione sotto la soglia di povertà. Le donne e i bambini sono i più vulnerabili, colpiti dalla malnutrizione e dalla povertà. Alle adolescenti è impedito di proseguire gli studi e alle donne di lavorare. Fuggire all'estero? Ci si prova ma è un'operazione complessa e pericolosa. I talebani non tollerano il dissenso e negano perfino l'uscita dal paese per studiare all'estero, come nel caso di alcune studentesse bloccate all'aeroporto di Kabul mentre cercavano di raggiungere Dubai per proseguire gli studi dopo aver vinto delle borse di studio.

La situazione ha causato un drammatico aumento dei suicidi tra le giovani, mentre nascono scuole clandestine per offrire istruzione alle ragazze, con il rischio di arresti e torture se scoperte. L'Afghanistan è oggi uno dei paesi dove l'oppressione delle donne raggiunge livelli estremi.

Un milione e mezzo di ragazze private delle scuole superiori 

La drammatica situazione politica e sociale in Afghanistan a tre anni dal ritorno al potere dei talebani ha privato 1,4 milioni di ragazze afghane dell'accesso all'istruzione secondaria. Questo divieto, unico al mondo, è stato denunciato dall'UNESCO, che sottolinea come la negazione del diritto all'istruzione per le donne sia una grave violazione dei diritti umani e un ostacolo allo sviluppo del Paese.

Oltre alla chiusura delle scuole per le ragazze, i talebani hanno vietato alle docenti donne di insegnare ai ragazzi, aggravando la già difficile situazione del sistema educativo afghano, che soffre della mancanza di insegnanti qualificati. Situazione disastrosa che potrebbe portare a un aumento del lavoro minorile e dei matrimoni precoci, oltre a compromettere il futuro dell'Afghanistan.

Crisi umanitaria senza precedenti, con un'economia in declino, disoccupazione e povertà dilaganti, e un terzo della popolazione che sopravvive solo con pane e tè. La repressione delle donne è totale, con minacce, punizioni e tortura per chiunque non rispetti le severe leggi islamiche. La leadership talebana, guidata dall'emiro Hibatullah Akhundzada, riafferma la sua dedizione all'applicazione della Shari'a, che - per il governo talebano al potere - dovrà essere “la nostra missione fino alla morte”. Finché questo regime rimarrà al potere l'Afghanistan sarà soffocato dal buio e dall'intolleranza.

La perla legislativa: la legge “per promuovere la virtù e prevenire il vizio tra la popolazione”

Il provvedimento legislativo pubblicato dai talebani, poco dopo il terzo anniversario del loro ritorno al potere, introduce una serie di restrizioni estreme sulla libertà e i diritti delle donne e degli uomini in Afghanistan, in nome della Shari'a e della "promozione della virtù e prevenzione del vizio". La nuova legge, composta da 35 articoli, rafforza il controllo già stretto sulla popolazione.

Le restrizioni principali riguardano soprattutto le donne: devono coprire completamente il corpo e il viso in presenza di uomini estranei e non possono far sentire la loro voce in pubblico. Ossia non possono né parlare né cantare. Non possono essere trasportate in auto senza senza essere integralmente coperte con il velo o senza un accompagnatore maschile della famiglia (mahram) cioè il marito, un figlio, un fratello. Anche per gli uomini sono previste regole, come l'obbligo di portare la barba e di non indossare pantaloni sopra il ginocchio.

Inoltre, la legge impone severe restrizioni ai media e vieta ogni contenuto che sia considerato contrario alla Shari'a o offensivo per i musulmani. Le emittenti televisive non dovranno mostrare immagini di persone ed esseri viventi, una follia. Le violazioni sono punite con sanzioni graduali, che vanno da avvertimenti verbali fino all'arresto.

Alcuni divieti sembrano particolarmente assurdi, come l'impossibilità per le donne di parlare o cantare in pubblico. Questo soffocamento delle libertà sta generando anche un inizio di riflessione tra gli uomini afghani (tradizionalmente non molto interessati ai diritti delle donne) che ora vedono ridursi le proprie libertà, già residue e limitate.

Cosa si fa (o non si fa) per affiancare le donne afghane nella lotta per la libertà

Ma quale è il livello dell’attenzione globale alla condizione femminile in Afghanistan? In realtà l'impegno internazionale è insufficiente. Alle Olimpiadi di Parigi alcune atlete afghane, coraggiosamente, hanno manifestato il loro dissenso rischiando pene severe. Ma l'opinione pubblica internazionale, le organizzazioni internazionali, i governi fanno ancora troppo poco per aiutare realmente le donne afghane. Dove sono le mobilitazioni concrete, come le proteste pubbliche  e i sit-in, a favore della loro causa?

Il mondo è impegnato (e preoccupato) in altre crisi globali, come il conflitto in Ucraina, in Medio Oriente e nelle tensioni tra USA e Cina, mentre la repressione delle donne in Afghanistan viene ignorata o, per bene che vada, sottovalutata e trascurata. Ecco perchè è ancora più coraggiosa la resistenza delle donne afghane, che clandestinamente cantano canzoni come “Bella ciao” per protestare, analogamente a quanto fanno le donne iraniane dopo la morte di Mahsa Amini.

Guardando a cosa sta succedendo in Afghanistan e a quello che noi non facciamo c’è da concludere con amarezza che la società contemporanea sembra più interessata all'apparenza e all'autopromozione attraverso selfie e social media piuttosto che alla difesa dei diritti umani.

Pino Scorciapino

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