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Dopo due anni vado al pronto soccorso ed ecco come lo trovo
Sono reduce da un intervento al Cannizzaro di Catania e ho qualche problema con la ferita: mi brucia maledettamente nonostante il gentalyn beta applicato per due giorni. Per non tornare a Catania decido di andare al pronto soccorso del policlinico in pectore. Non ci andavo da più di due anni poiché ormai frequento gli ospedali di Milano e Palermo, e, aggiungo, di un certo livello, come il Besta, il Buccheri La Ferla , il Civico e il Policlinico Giaccone.
Non appena entro trovo una sala d’attesa fatiscente, scalcinata, con i cessi fetidi e con le serrature che non funzionano. Vengo triagiato da un infermiere stressato, ai limiti del garbo. No, non è colpa sua. È solo. È attorniato da due volenterose crocerossine che non si capisce se siano OSS o infermiere o volontarie.
L’infermiere mi fa una sorta di terzo grado per valutare se accettare la mia patologia. Poi , molto titubante e non dopo che gli ribadisco che la ferita mi brucia, mi fa mettere uno scalcinato braccialetto bianco, compilato a penna dalla volenterosa crocerossina e mi dice che ho un paio d’ore di attesa. “Va bene”, gli rispondo, ma la prego di valutare che questa ferita mi brucia assai”. Non mi risponde.
Entro in sala d’attesa: c’è, fra gli altri astanti, una signora con un polso gonfio, probabilmente rotto, che singhiozza, non riesco a capire se per il dolore o per la rabbia. Intanto consumo un surrogato di cioccolata calda alla macchinetta (fortunatamente ho i soldi spicci). I telefoni cellulari non funzionano perché non c’è linea. Già, in quel pronto soccorso non c’è mai stata linea. Tutti si lamentano per l’attesa. Un signore, da tre ore, attende notizie della madre .
Intanto apprendo che ci sarebbe un solo medico per cinquanta pazienti, tra coloro i quali sono già in OBI (Osservazione breve intensiva)e coloro che devono essere ancora visitati . I miei occhi si posano sulla sporcizia della sala d’attesa e, forse, abituato agli ospedali del nord, rimango basito nel non vedere passare fino alle 23 nessun puliziere a igienizzare la sala stessa. E intanto la ferita mi brucia. Mi qualifico come giornalista e chiedo, con educazione, se ritengono di farsi fare qualche domanda.
Nel frattempo sento la gente fare discorsi sulle liste di attesa per le prestazioni e per le visite specialistiche, ma questo non è un problema soltanto ennese: se ci si cerca di prenotare col servizio sanitario nazionale ci sono mesi, anni, di attesa , mentre con l’ intramoenia tutto si sblocca in pochi giorni… una vergogna tutta italiana, copiata dagli americani.
Comunque bisogna che i pazienti siano educati con il personale sanitario ma è altrettanto vero che alcuni medici e infermieri dovrebbero andare a scuola di garbo. Alle 23 vengo visitato da un bravissimo medico di emergenza e da un’ottima equipe infermieristica i quali, quasi con le lacrime agli occhi mi dicono: “Noi facciamo il nostro lavoro con amore e la gente se la prende con noi. Non siamo tutelati da nessuno, purtroppo”. Il pronto soccorso dell’ospedale di Enna necessita di un immediato remake e incremento di personale medico, perché così, abbiamo già toccato il fondo.
Mario Pagaria
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