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Tra solitudine e speranza: la ludopatia silenziosa degli anziani a Enna
Negli ultimi giorni, mi è capitato più volte di entrare in alcune tabaccherie. Lì, in coda, ho osservato una scena che ormai sembra normale, ma che dovrebbe farci riflettere. Tra schedine, gratta e vinci e schermi luminosi, c’erano giovani, certo. Ma soprattutto anziani. Volti segnati dal tempo, mani tremanti che stringevano quei pezzi di carta come se contenessero una promessa. Una speranza. Un colpo di fortuna che, forse, avrebbe potuto cambiare qualcosa.
Due storie, una del passato e una del presente, raccontano ciò che troppo spesso non si dice.
Marco, giovane lavoratore, ha iniziato per gioco. Una scommessa ogni tanto, un biglietto la domenica, una slot durante la pausa. “È solo per divertirmi”, ripeteva. Finché non ha vinto. Non una fortuna, ma abbastanza da credere che fosse solo l’inizio.
All’inizio sembrava tutto sotto controllo. Poi il gioco ha iniziato a prendere spazio: prima nelle sue giornate, poi nei suoi pensieri, poi nella sua vita. Marco ha iniziato a nascondersi, a mentire, a spendere soldi che non aveva. Non cercava più la vittoria, ma un anestetico al vuoto che sentiva dentro.
Ha perso tanto: denaro, lavoro, fiducia. Ma soprattutto la serenità di guardarsi allo specchio senza vergogna. Le notti insonni, l’ansia, il panico. Ogni promessa di smettere durava poche ore. Finché non ha parlato. Prima con un amico, poi con un professionista. Da lì è iniziato il percorso. Faticoso. Imperfetto. Ma reale. E possibile.
Giuseppe, invece, ha 74 anni. Una vita di lavoro alle spalle, una pensione che basta appena e giornate vuote da riempire. Da quando è rimasto vedovo, la solitudine è diventata più pesante. Così ha iniziato a passare i pomeriggi in un bar vicino casa. Prima per un caffè, poi per tentare la fortuna con qualche euro.
“All’inizio era solo per passare il tempo. Almeno lì c’era qualcuno con cui scambiare due parole. Quelle macchinette luminose facevano sembrare tutto un po’ meno grigio.”
Ma euro dopo euro, settimana dopo settimana, la pensione cominciava a svanire troppo in fretta. Giuseppe inventava scuse: bollette alte, regali ai nipoti, piccoli imprevisti. La verità era un’altra. Il gioco era diventato il suo rifugio. Una distrazione. Un’illusione.
Il momento di svolta è arrivato quando si è trovato a dover scegliere se pagare l’affitto o tentare ancora una volta il colpo buono. Quel giorno ha pianto. Si è sentito piccolo. Ma ha trovato il coraggio di parlare con il suo medico.
Da lì, ha iniziato il cammino. Con l’aiuto dei servizi territoriali, dei figli, e del centro anziani, ha scoperto nuove passioni e nuovi amici. Ha capito che chiedere aiuto non è un fallimento. È un atto di forza.
Tanti anziani come Giuseppe vivono questo dramma in silenzio. Poche parole, tanto dolore nascosto. E una pensione che evapora nel sogno di un cambiamento che non arriva mai. Il gioco d’azzardo è una dipendenza subdola: non lascia lividi, ma scava dentro, lentamente. E porta via tutto.
È tempo di parlarne. Di ascoltare. Di tendere la mano. Perché nessuno dovrebbe affrontare tutto questo da solo.
Gaetano Mellia
I servizi dell'ASP di Enna
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