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- Categoria: Archeologia e Culture Antiche
Archeologia e Culture Antiche - La nave greca arcaica di Gela
Le coste siciliane sono da sempre ricchezza per quest’isola-non isola. E non solo per la loro selvaggia e dolce bellezza, ma perché rappresentano da tempi immemori il legame con il resto del mondo di questa terra che non potrebbe esistere se non in comunicazione con gli altri, oggi come ieri. Cambiano i tempi, mutano mezzi e tecnologie, ma irrinunciabile rimane l’aspirazione a collegare uomini, mondi, mentalità, abilità, conoscenze. Dicevamo, sin dai tempi più antichi. E non è un caso che “relitto” sia proprio il termine con cui si indicano le navi sommerse nei fondali marini o lacustri, dal verbo latino relinquĕre, cioè lasciare, abbandonare. Qualcosa che essendo abbandonato – per necessità o sopravvenute emergenze – rimane lì immobile per lasciar memoria di sé e di tutto ciò che porta con sé.
Dei tre relitti che negli ultimi decenni sono stati rinvenuti al largo delle coste di Gela, uno rappresenta un caso eccezionale. Dalla prima segnalazione da parte di due subacquei nel 1988, fino all’attuale collocazione presso la sede museale di Bosco Littorio a Gela sono passati molti studi, scavi, analisi, restauri e persino prestiti, e tuttavia ancora oggi sono molti gli interrogativi che restano aperti.
Ciò che gli archeologi ritrovarono furono alcune parti lignee dello scafo “a guscio” con ancora tracce delle funi che legavano il fasciame, adagiato sul basso fondale marino in posizione inclinata di 30° e ricoperto da cumuli di grosse pietre di forma irregolare che dovevano fungere da zavorra nel viaggio di andata: probabilmente venivano scaricate dalla nave approdata al porto in modo da riempirla per il successivo viaggio di derrate e merci di vario genere. Si trattava infatti di una nave mercantile, di quelle che solcavano il mar Mediterraneo per distribuire nei diversi porti olio, vino, cereali, ceramiche e pregiati oggetti di artigianato, ma che rischiavano continuamente di perdere il carico a causa di condizioni metereologiche avverse, ma anche di attacchi pirateschi o di altri accidenti. Ciò che è eccezionale in questa nave sono il carico enorme di oggetti, la cui datazione è collocabile tra il VI secolo a.C. e gli inizi del V, e le dimensioni dello scafo, circa 18 metri di lunghezza per 6 di larghezza, una delle più ampie finora rinvenute per quell’epoca. L’imbarcazione viaggiava a cabotaggio, cioè seguendo le correnti marine e i venti e spostandosi di porto in porto con l’aiuto di larghe vele. Al di sopra dello strato di pietre doveva essere posto un piano ricoperto da stuoie di fibre vegetali su cui erano adagiati, impilati e opportunamente distanziati: anfore chiote, attiche, puniche, corinzie che contenevano probabilmente olio ma anche vino, come testimonia il loro rivestimento interno in pece; vasi di varie forme e dimensioni da mensa e da cucina, alcuni preziosamente decorati nello stile attico e corinzio; canestri in fibre vegetali che potevano contenere frutta o altri prodotti vegetali. Inoltre facevano parte del carico molti oggetti di uso comune, quali ciotole, pentole, lucerne, piatti che dovevano essere in uso all’equipaggio della nave e persino resti di carcasse animali che dovevano essere consumati a bordo. Alcuni oggetti rinvenuti, invece, sembrano essere estranei alle finalità commerciali della nave e risultano abbastanza curiosi. Per esempio un piccolo braccio fittile che sembra in posizione di reggere una lancia poteva appartenere a una statuina di Athena Promachos, la dea della saggezza protettrice anche della guerra strategica, oppure a un simulacro di Poseidone, il dio del mare di cui i naviganti temevano le intemperanze. Mentre altri oggetti, quali dei piccoli altarini decorati in terracotta, di un braciere in bronzo e di alcuni vasi con dipinte scene di libagioni agli dei fanno pensare a cerimonie cultuali che si svolgevano a bordo, che gli studiosi non escludono fossero celebrate per mezzo di oggetti che una volta giunti a terra venivano rivenduti in quanto merce preziosa.
Identificando la provenienza delle diverse suppellettili trasportate all’interno della nave si può ricostruire il viaggio della stessa che, partita da uno dei porti dell’Egeo, probabilmente una delle isole Cicladi, doveva aver toccato le principali località tra le quali Atene, aveva attraversato il mar Ionio e costeggiato la costa orientale della Sicilia per poi risalire la costa meridionale diretta probabilmente all’emporio greco di Gela che è stato identificato sulla costa nei pressi della zona di Bosco Littorio, ove infine si era arenata e inabissata.
Claudia Cacciato
Crediti per le immagini: R. Panvini, La nave greca arcaica di Gela, Salvatore Sciascia Editore, 2001
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