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Cultura e Arte - Ritratti, amore e moda al museo belliniano di Catania
La casa dove nacque il compositore catanese, Vincenzo Bellini, nella notte tra il 2 e il 3 novembre del 1801, e nella quale visse per circa 16 anni, fa parte di un antichissimo palazzo nobiliare che appartenne alla famiglia Gravina-Cruyllas, nobile casato dei Principi di Palagonia, situato nell’angolo occidentale tra il largo San Francesco d’Assisi e la via Vittorio Emanuele (via della Corsa ai tempi di Bellini), edificato, originariamente, sulle rovine dell’antico Odeon del teatro Greco-Romano. Il palazzo nobiliare fu ricostruito dall’architetto Francesco Battaglia agli inizi del Settecento, dopo il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693, sui resti di un antico palazzo appartenente allo stesso casato. Il prospetto esterno con le decorazioni a volute, il bugnato nelle lesene, gli oculi e le grottesche del portale si legano allo stile barocco con cui la città di Catania fu riedificata. La facciata mostra un pian terreno e tre livelli abitativi, mentre la corte interna è provvista di una loggia, varcata la quale si raggiunge l’appartamento della famiglia Bellini attraverso una scaletta a ventaglio che culmina nel pianerottolo dell’abitazione.
Il museo, attualmente oggetto di un nuovo allestimento, custodisce piccoli tesori d’arte applicata davvero inestimabili e tra questi è possibile ammirare la piccola miniatura raffigurante il ritratto dello stesso compositore. Il piccolo dipinto - un acquerello e pittura a guazzo su foglia d’avorio, di formato ovale - è inserito all’interno di una doppia cornice, la più esterna delle quali è eseguita in legno di ebano, la ghiera più interna, invece, in bronzo dorato, decorata a cesello. Il ritratto è caratterizzato da una grande resa psicologica, giacché il compositore mostra un timido sorriso, e nel contempo da un’ottima perizia per la resa dei dettagli; per esempio, è possibile osservare, sulla lunga cravatta di colore scuro, un accessorio particolarmente alla moda negli anni trenta dell'Ottocento, una spilla. I toni particolarmente chiari e trasparenti sono apprezzati soprattutto grazie alla qualità della foglia d'avorio su cui è passato uno strato di colore bianco a cui è aggiunto il legante (gomma arabica e zucchero candito). È ormai consolidata l’idea che la miniatura testimoni il primo incontro avvenuto fra Vincenzo Bellini e Maria Felicia Malibran, la sera del primo maggio 1833, quando il soprano francese eseguì la Sonnambula al teatro Drury Lane di Londra. Non è documentata l’attività pittorica della cantante, alla quale è stato attribuito, oltre all’esecuzione della piccola miniatura realizzata durante il soggiorno londinese del Compositore, anche un autoritratto contenuto all’interno di uno spillone. Dalle ricerche di uno studioso della fine del XIX secolo, Antonino Amore, si apprende che ad assegnare l’esecuzione pittorica della miniatura al soprano francese furono i familiari di Bellini: «La famiglia afferma essere quella miniatura lavoro della celebre Malibran. Certo fu grande, e piena di ammirazione reciproca, l’amicizia che unì la Diva del canto al Cigno delle celestiali melodie; ma nessun documento rimane ad avvalorare quanto è ormai per la famiglia indiscutibile certezza». Assai più probabile è invece che essa sia stata un ricordo della Malibran, come lascia supporre un’altra miniatura di dimensioni più piccole da portare al petto della camicia». La spilla di cui parla Antonino Amore - attualmente conservata all’interno del museo civico belliniano ed esposta accanto alla piccola miniatura - presenta il ritratto della cantante Maria Felicia Malibran di formato ovale, custodito sotto una copertura bombata, contornato da intrecci filiformi curvilinei e piccole sfere di misura differente. Su un fondo verde, la donna è rappresentata seduta, intenta ad osservare lo spettatore: porta lunghi capelli sciolti, un diadema attorno alla fronte e indossa un vestito di colore bianco con scollo sul décolleté. Tutti questi piccoli oggetti testimoniano la moda seguita dal compositore, quella che si pone tra lo stile Regency e l’epoca vittoriana, quando le cravatte erano identificate come lunghe fasce o sciarpe che si avvolgevano ampiamente attorno al collo. Così, spille e spilloni furono utilizzati per mantenere le precise forme che si volevano attribuire alle sciarpe da cui rimaneva visibile solamente un’estremità impreziosita con una pietra o perla. Diverse erano le tipologie di nodi diffusi negli anni Trenta dell’Ottocento, e se qualche curioso lettore avesse voglia di saperne di più, essi sono descritti e illustrati all’interno del The art of tying the cravat di Le Blanc, un testo pubblicato nel 1828 nella città di Londra in sedici lezioni, rivolto ai giovani borghesi che amavano vestire alla moda.
Angela Scialfa