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Cultura e Arte - Uno Spinario siciliano
Molte opere siciliane, si sa, sono oggi esposte nei più noti musei del mondo: trasferite legalmente o illegalmente da un’isola che non sempre ha saputo proteggere i suoi capolavori. Ad Antonello Gagini, il più noto e apprezzato scultore del Rinascimento siciliano, è attribuita un’opera che si può ammirare al Metropolitan Museum of Art di New York e che è stata recentemente esposta alla mostra parigina Le Corps et l'âme. De Donatello à Michel-Ange, dedicata alle sculture italiane del Rinascimento (Paris, Louvre, 22.10.2020-18.01.2021).
Con una prontezza che rivela il livello di aggiornamento che anche uno scultore siciliano del primo Cinquecento poteva avere, Gagini riprende alla data 1500 - o comunque nei primissimi anni del secolo - un modello antico tra i più noti per gli artisti del Rinascimento: lo Spinario.
La scultura antica, un bronzo ellenistico oggi conservato nei musei Capitolini a Roma che raffigura un giovane che si cava la spina dal piede, dono di papa Sisto IV al “popolo romano” nel 1471, divenne presto modello per tutti quegli artisti che proprio con l’antico dichiaratamente si confrontavano. Il “nudo del spino” o Cavaspino era una delle opere più ammirate, descritte e riprodotte: ne circolavano repliche, riproduzioni a stampa e piccoli bronzetti che contribuirono a diffondere un modello che Brunelleschi aveva persino inserito nella celebre formella del concorso del 1401 per la porta del Battistero di Firenze.
Lo scultore siciliano aveva realizzato il suo Spinario in bronzo per la città di Messina, dove ancora nel Settecento era documentato nel palazzo del principe d’Alcontres a decorare una fontana. Lo racconta una delle fonti più preziose della letteratura artistica siciliana, Francesco Susinno, che in un manoscritto del 1724, nella Vita dedicata allo scultore, annotava: “dilettossi Antonio di gettare statue di bronzo, come fello conoscere nella statua di un giovinetto al naturale, in atto di cavarsi dal pie’ sinistro uno spino: ad imitazione della rara e bella figura di Marzio pastorello, di bronzo, che vedesi in Campidoglio … di un gusto antico ed assai ben inteso”. Proprio l’opera messinese, firmata e datata secondo le fonti “Opus Antonii Gagini anno MD”, è stata identificata con il bronzo del Metropolitan Museum: la prima copia nota di grande formato, che presentava le stesse dimensioni dell’originale.
Ma la vicenda delle copie gaginiane del celebre Cavaspino si lega anche alla storia ennese. Un pagamento del 1527 all’ormai ben noto scultore documenta infatti la realizzazione di un altro Spinario per il marchese Matteo Barresi, destinato al castello di Pietraperzia, i cui ruderi ricordano ancora oggi la cultura artistica di un piccolo centro che era però tra Quattrocento e Cinquecento una delle corti del Rinascimento in Sicilia. Gagini realizzava per i Barresi alcune mostre di finestre intagliate e “cuiusdam juvenis, ut dicitur, che si leva la spina di lu pedi”. Uno dei pezzi più fortunati dell’arte classica entrava nel castello ennese e i documenti del tempo non potevano che tradurre in siciliano i tratti della statua che Gagini aveva tradotto in scultura siciliana, con un linguaggio classicista, rinascimentale e all’antica.
Nulla sappiamo dello Spinario Barresi se non quanto ricordano le antiche fonti e descrizioni: era una versione più tarda dello Spinario messinese? era in bronzo o in marmo, come le altre opere contestualmente commissionate a Gagini? era destinato al castello, a una fontana o agli ampi saloni della residenza Barresi? era stato realizzato sulla base di un’incisione o a seguito di un ipotetico viaggio dello scultore a Roma? Ciò che sappiamo è che il giovane “che si leva la spina di lu pedi” di Antonello Gagini è oggi disperso insieme al ricco patrimonio artistico che ornava il castello di Pietraperzia.
Barbara Mancuso