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- Categoria: Archeologia e Culture Antiche
Dedalo, un esploratore senza tempo
A volte bisogna andare lontano per scoprire ciò che ci è vicino. Può capitarci di andare fino a Londra e scoprire un tesoro che racconta una storia della nostra terra. Conoscete la coppa aurea del British Museum? E la storia di Dedalo e del Labirinto cretese?
Diamo inizio a questa nuova rubrica sull’Archeologia in Sicilia rendendo onore al nome di Dedalo, al quale è legata una serie di miti che rievocano epoche remote e luoghi lontani, ma storicamente a noi vicini. Nell’isola di Creta governata dal re Minosse, al nostro Dedalo, abile architetto e inventore è stato affidato il compito di costruire una prigione per il Minotauro, mostruoso figlio di Minosse nato con un corpo d’uomo e la testa di toro, una belva feroce e assetata di carne umana da tenere ben ascosta. Così Dedalo costruisce il famoso Labirinto, un luogo impenetrabile dal quale nessuno è mai uscito vivo. Nessuno ad eccezione dell’eroe ateniese Teseo che con l’aiuto della figlia del re, Arianna, si introduce nel dedalo svolgendo un filo rosso di lana, e dopo aver ucciso la belva ne esce vivo e vittorioso.
Fin qui è storia nota e forse lontana da noi, ma ciò che avvenne dopo ci riguarda più da vicino. Minosse, deluso che Teseo fosse riuscito nell’impresa impossibile, condanna a morte Dedalo rinchiudendolo nel labirinto. Ma questi, con l’ingegno di un Leonardo ante litteram, decide di fuggire volando via per mezzo di ali di cera, insieme a suo figlio Icaro. Entrambi si dirigono verso ovest, ma le ali di Icaro, che si avvicina troppo al sole, si sciolgono e il ragazzo precipita giù nel mare Egeo. Dedalo, pur disperato, prosegue il suo volo ad Occidente e giunge in una terra sconosciuta, ma abitata da genti civilizzate. Di quale terra si tratta? Molte fonti antiche convergono sulla Sicilia. Lo storico greco Erodoto e l’agirino Diodoro Siculo, che collegano questa storia alle origini del popolamento greco della Sicilia, parlano di Càmico, città collocata nell’entroterra agrigentino, alla foce del fiume Alykos, oggi Platani, capitale del regno dei Sicani governati dal re Còcalo. Il capo sicano accoglie Dedalo con tutti gli onori, riconoscendone la grandezza, e gli offre protezione in cambio del suo ingegno. Ma intanto Minosse, che non ha ancora dimenticato l’offesa ricevuta, si pone alla testa di una spedizione navale e si spinge fino alle coste siciliane. Còcalo accoglie anche lui, in quanto straniero, ma avendone compreso le reali intenzioni e per nulla entusiasta di perdere Dedalo, propone a Minosse di ristorarsi con un bagno caldo prima di procedere agli accordi. Invece lo fa assassinare nella vasca. E inoltre distrugge le navi cretesi e nega ospitalità agli stranieri, ai quali non rimane che cercare di popolare le terre circostanti, insediandosi in vari luoghi dell’Italia meridionale e fondando nuove città.
Se è vero che in ogni leggenda c’è un fondamento di verità, un racconto così articolato deve avere un qualche aggancio con eventi storici di un certo rilievo che, in mancanza di fonti scritte dirette, sono gli archeologi a cercare di ricostruire, come in un mosaico frammentario. Si sa che già secoli prima della colonizzazione greca della Sicilia, naviganti e mercanti provenienti dall’Egeo, cretesi prima e micenei dopo, si erano spinti fino alle coste siciliane per trovare nuovi sbocchi commerciali e approvvigionarsi di materie prime, soprattutto dello zolfo delle nostre cave. Sappiamo che i micenei avevano frequenti rapporti e scambi commerciali con i centri indigeni della Sicilia: ceramiche e oggetti di origine egea sono stati rinvenuti in molti siti indigeni. Nel piccolo centro di San’Angelo Muxaro in provincia di Agrigento, proprio vicino al corso del Platani, già nel secolo scorso campagne di scavo condotte da Paolo Orsi prima e dall’Università di Catania dopo, hanno indagato delle necropoli costituite da una serie di tombe del tipo “a falsa tholos”, ovvero a volta ogivale, che richiamano molto da vicino le famosissime tombe “a tholos” delle necropoli della tarda età del bronzo a Micene, in Grecia. Queste tombe, a differenza di quelle della Grecia costruite con una falsa cupola di conci progressivamente aggettanti, sono scavate nella roccia, ma replicano delle tipologie architettoniche che sicuramente erano estranee alle culture indigene della Sicilia. Dunque, in un’età in cui i contatti tra civiltà della Sicilia e dell’Egeo non sembravano così stabili, un popolo ritenuto culturalmente più arretrato sarebbe venuto a contatto con una cultura che riteneva più avanzata e ne avrebbe adottato una tipologia costruttiva dal significato importante, perché legata alla sepoltura e al culto dei propri defunti.
Le tholos di Sant’Angelo Muxaro sarebbero state utilizzate tra la fine dell’età del Bronzo e l’età classica greca, quando ormai da più di un secolo sulla costa sorgeva la colonia rodio-cretese di Akragas, ovvero Agrigento. Ma appunto la provenienza di quelle genti che fondarono “la più bella città dei mortali”, come la chiamava Pindaro, fa riflettere sulla continuità di frequentazione di quei luoghi da parte di genti provenienti dall’Egeo orientale e dei buoni rapporti che legarono le genti indigene con i Greci. Da una delle tombe della zona proviene, ad esempio, la raffinatissima coppa aurea oggi conservata al British Museum, decorata a sbalzo con le immagini di sei buoi che avanzano in fila, quasi in processione. Naturalmente doveva appartenere al corredo funebre di un importante personaggio locale, un capo o un principe, qualcuno tanto degno di onore da essere accompagnato nel viaggio ultraterreno da oggetti raffinati e di manifattura straniera. A realizzarlo furono forse degli orafi di origine rodio-cretese, come dimostrerebbero la tecnica di lavorazione e lo stile orientalizzante. E dello stesso pregio sono anche due splendidi anelli aurei con incise le immagini di un lupo e di un cervo che allatta il suo cucciolo, entrambi rinvenuti dall’Orsi nella necropoli di Sant’Angelo Muxaro e oggi conservati nel Museo Regionale di Siracusa. In conclusione, secoli dopo la realizzazione delle tombe a tholos, quando le coste meridionali della Sicilia furono punteggiate di insediamenti greci, la scelta del sito agrigentino da parte di genti di Rodi e Creta già precedentemente insediate a Gela, non dovette essere del tutto casuale, ma fu il risultato di conoscenze antiche di secoli, di rotte già percorse da navi cretesi e micenee. Qualcuno, insomma, si ricordava ancora del viaggio di Dedalo e della corsa di Minosse verso Occidente.
Claudia Cacciato
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