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Oltre la Disabilità – Fuori classe: una serie TV che affronta anche il tema della disabilità
Seguendo la serie TV "Fuori classe" e in particolare l’ultima puntata dal titolo “L’esame di stato” esce fuori il tema della disabilità. La scena vede come protagonisti studenti e genitori che si ritrovano a scuola per i risultati degli scrutini, tra questi Silvia e Laura, quest’ultima sulla sedia a rotelle. A Laura verrà lasciato un solo debito mentre per Silvia sono tre le materie che dovrà recuperare. Decisione contestata dalla madre di Silvia che rimarrà indignata e chiederà spiegazioni alla professa Passamaglia sul motivo per il quale a sua figlia vi erano stati lasciati tre debiti e a “quella lì” (userà proprio questa affermazione) sulla carrozzella un solo un debito. “Sa – afferma ancora la madre di Silvia – cosa se ne fa delle vacanze visto il suo stato. Noi invece – conclude la madre di Silvia – avevamo già prenotato le vacanze e dovrei rinunciare perché una scuola di professori montati preferisce premiare per pena la disabilità e punite per astio l'abilità”, concludendo che farà ricorso per tale decisione. Queste ultime affermazioni, “Sa, cosa se ne fa delle vacanze visto il suo stato” e poi l’accusa alla scuola, e quindi al corpo docente, che preferisce premiare per pena la disabilità e punire per astio l’abilità meritano un approfondimento.
Cosa se ne fa lei delle vacanze.
Una persona con disabilità non ha diritto ad andare in vacanza? La disabilità è forse una colpa o tanto meno una condizione che vieta di poter trascorrere dei giorni di gioia e relax, magari al mare? Perché ancora una volta ci ritroviamo davanti una persona, come la madre di Silvia, che non vede la persona o meglio ancora l'adolescente con le sue ansie, paure, con i suoi desideri, con un suo probabile programma per l’estate, non è proprio vero che una persona con disabilità non ha necessità e la possibilità di andare in vacanza. Per chi pensasse che una persona con disabilità non abbia diritto o l’esigenza di trascorrere un periodo di ferie in realtà non è proprio così, c’è una vera e propria politica sul turismo accessibile per le persone con disabilità, è il diritto di andare in vacanza.
Altra affermazione della madre di Silvia, sempre in un senso negativo che voglio commentare è l’accusa che rivolge alla scuola e quindi al corpo docente del Liceo scientifico “Caravaggio” di Torino, che preferisce premiare per pena la disabilità e punire per astio l'abilità: questo penso meriti di essere commentato. Spero che la maggior parte delle persone pensino che un disabile non deve essere premiato per pena, ma per le poche o molte abilità che possiede; essere sulla sedia a rotelle, come nel caso di Claudia, non significa non possedere altre capacità e quindi non si viene premiati per il proprio stato fisico, ma per le capacità. Nella mia carriera scolastica e universitaria ho preso qualche voto basso, ma anche di questi voti bassi, con il senso del poi, ne sono orgoglioso, perché ne è la prova che nulla mi è stato regalato per compassione, ma perché me lo sono meritato con lo studio e l'impegno: così è più bello, quando te lo sudi, quando dimostri il tuo impegno, le tue capacità. Tutto questo non viene però compreso dalla madre di Silvia, una donna che si sente molto sicura di sé e che sicuramente non riesce ad andare oltre la disabilità e purtroppo vi sono tante persone e nella vita reale che la pensano ancora come lei, “tanto lei questa estate a causa del suo stato fisico cosa può fare, dovrà rimanere a casa e quindi può studiare benissimo, mentre noi, avevamo le vacanze organizzate”. Fin dalle prime battute si comprende l’astio che la madre di Silvia prova per quella ragazza poco fortunata, tanto da chiamarla “quella”, come se non avesse un nome o non fosse una ragazza come la sua. A proposito nel nome mi viene in mente una vignetta del politically correct dove vengono rappresentate due persone, una abile e una sulla sedia a rotelle e la prima si chiede: “Handicappato?, Disabile? Diversamente abile, non deambulante” e la persona in sedia a rotelle allora risponde l’altro: "Veramente mi chiamo Filippo". Troppo spesso si utilizzano appellativi inappropriati per chiamare una persona che presenta una disabilità. Mi viene in mente che un fatto quasi simile mi è capitato: un giorno per caso incontro un vecchietto per strada che conoscevo bene, con lui c’era una terza persona alla quale gli dice che ero laureato e fin qui nulla da ridire, ma non appena mi allontano di poco sento nuovamente che il vecchietto continua il discorso facendo capire al suo interlocutore che l’università mi avrebbe dato la laurea per compassione vista la mia disabilità e il mio linguaggio poco chiaro. Le sue parole sono nel dialetto ennese “a ci hannu datu, u viditi cumu è? perché non ne che….” che tradotto significa “gliel’hanno voluta dare per atto di generosità viste le sue condizioni”, io per educazione non ho risposto anche perché tra la sua ignoranza e il fatto che molto spesso, soprattutto quando mi innervosisco, non riesco a farmi capire bene e il mio intervento sarebbe stato inutile; questo dimostra però ancora una volta che quel vecchietto, cosi come la madre di Silvia nella fiction, non si riesce ancora ad andare veramente oltre la disabilità.
Andrea Fornaia
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